The Woodmans
Due volti rugosi e provati dalle ferite del tempo appaiono sullo schermo e ti immagini già una dolce storia d’amore che dura da più di mezzo secolo. Azzecchi solo un quarto della storia. I Woodman non sono una famiglia come tutte le altre. E sinceramente non sembrano neanche una classica famiglia borghese americana. I Woodman sono una famiglia di artisti nel senso lato del termine. George Woodman è un ex pittore astrattista, oggi eccellente fotografo di corpi e volti umani. Betty Woodman, sua moglie, è stata una grande ceramista e oggi trasforma le sue pentole di argilla in sculture astratte. I loro due figli: Charles Woodman è professore di Arte Elettronica all’Università di Cincinnati, Francesca Woodman era una brillante e straodinaria fotografa, morta suicida nel 1981, della quale è rimasto un incredibile lavoro fotografico, oggi così moderno e attuale ma ritenuto scandalo alla fine degli anni Settanta.
Il documentario di Scott Willis inserito nella sezione L’Altro Cinema, curata da Mario Sesti, alla Quinta Edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, non è una semplice ricostruzione di una vita familiare distrutta dalla morte improvvisa di uno dei componenti. E’ più che altro un percorso di analisi sul concetto di “arte”, attraverso la storia di questo particolare nucleo familiare. I coniugi Woodman, raccontando la loro personale storia di vita si rendono conto di come l’arte abbia influito notevolmente su tutte le loro decisioni e più di tutto si rendono conto di come l’arte gli abbia “guidati” (o forse controllati) per tutta la durata della loro vita. Essere un artista, afferma George durante il racconto, in realtà non è un lavoro come gli altri. Anche se un artista cerca in tutti i modi di credere questo: l’arte è più di uno stile di vita, è più di una filosofia di vita e, molto probabilmente, anche qualcosa di più di una dottrina religiosa. E’ parte dell’artista e una volta che questi ne prende coscienza è impossibile allontanarsene.
Sfondo di questa tormentata presa di coscienza di errori commessi o azioni mai compiute c’è il lavoro fotografico di Francesca Woodmans che, solo negli ultimi anni, ha finalmente ricevuto la consacrazione che meritava. Un’artista eclettica e rivoluzionaria che fece della fotografia la sua compagna di vita fino al momento in cui anch’ella non riusci più a darle nessun motivo per continuare a fotografare e, quindi a vivere.
La messa in scena del documentario è costruita molto bene: i primi piani dei woodmans sono costruiti in modo che fin dalle prime scene, dalle prime interviste, lo spettatore riesca a instaurare un forte legame empatico con i protagonisti che, nonostante i ritmi piuttosto lenti del racconto, fa scorrere le immagini sullo schermo senza troppe occhiate al fattore tempo.
– Si è da poco conclusa a Milano una mostra fotografica di Francesca Woodman, per saperne di più www.mostrawoodman.it
Cara Federica ci sarebbe tanto da dire sui suoi commenti…ma quello che più dispiace è che lei come tanti che su questo film hanno scritto non sanno nulla di arte, si desume da alcune stupidaggini che scrive e ancora meno sanno dell’arte dei woodman.
Quella di Scott Willis è una versione dei fatti, non la versione dei fatti ed è sopratutto una versione molto morbosa dei fatti e se vuole anche la più scontata e semplice delle versioni. Il regista ha perso l’occasione di raccontare di una comunità di artisti e del loro rapporto con l’arte, eppure glielo assicuro aveva una montagna di materiale.Si è concentrato cinicamente sul suicidio di Francesca, di cui né lei né io né nessuno conosce il motivo, per motivi che attengono alla possibilità di vendere il prodotto.Chi sa di arte e conosce i Woodman non trova così ben fatto il lavoro di Scott Willis anzi tutt’altro!
Cara Antonella,
il mio post sul documentario “The Woodmans” non ha assolutamente la pretesa di voler divulgare il vero significato dell’arte. Ho visto il film di Willis e mi è piaciuto. Non sono d’accordo sul fatto che il regista si sia soffermato eccessivamente sul suicidio di Francesca: tutt’altro. In tutto il documentario solo una volta si utilizza la parola “suicidio” e la si associa al nome Francesca, e siamo ormai alla fine del documentario stesso. Ogni regista, con il materiale che ha davanti, deve fare delle scelte narrative. In questo caso Willis le ha fatte ed è inevitabile che non tutti possano apprezzare il prodotto finale. Non mi sembra affatto che il suo unico scopo possa essere “vendere il prodotto”. Le assicuro che avrebbe optato per un lungometraggio o un’altro genere cinematografico: i documentari non sono “molto redditizi” nel panorama cinematografico e sono fortemente dispendiosi dal punto di vista economico e dal punto di vista soggettivo.
La sottoscritta non è assolutamente un’artista, ma come Lei esprime liberamente il personale parere senza nessuna pretesa che questo diventi “bibbia” per i propri lettori e risponde democraticamente ai commenti positivi e negativi. E lo riesce a fare senza utilizzare parole/commenti offensivi.
La ringrazio ancora per il suo parere.