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Tre ragazzi in fuga dall’Italia cercano fortuna a Bangkok

Prendiamo tre ragazzi milanesi, 28 anni.

Uno, dopo aver preso la laurea in legge, ha capito di non voler fare l’avvocato né di voler vivere competendo per il nulla dietro ad una scrivania; l’altro è reduce da un’esperienza sentimentale complessa, lunga e dolorosa; l’altro ancora gira il mondo da quando era diciottenne. Aggiungiamo che sono amici dai tempi del liceo, che tutti e tre sono stufi rasi dei vizi milanesi, dei cazzeggi, delle notti in giro, della mancanza di prospettive, e sono quel genere di uomini che prende la vita di petto. E se io oggi avessi vent’anni, mi piacerebbe da pazzi un tipo così, capace di scommettere su se stesso e di mettersi alla prova abbandonando le pseudo sicurezze di mamma e papà, la casetta comoda, e l’ipotesi di diventare un numero (solo se si è molto fortunati) in qualche azienda che oggi c’è ma domani chissà.

Mettiamoli insieme una sera davanti a una pizza.

Si guardano. Si parlano. E cominciano a ragionare.

Perché, e questo dev’essere ben chiaro, non si tratta di tre incoscienti annoiati, fancazzisti e un po’ infantili, tre pirla che giocano a fare Sandokan. No. Si tratta di tre ragazzi intelligenti e in gamba, coscienti delle loro capacità, con una gran voglia di lavorare e di costruirsi da soli un futuro, in un’epoca dove globalizzazione è diventata la parola d’ordine e le istituzioni, che una volta sembravano serie, adesso nemmeno lo sembrano più.

Finché sono rimasti in Italia, non hanno passato gli anni con le mani in mano: hanno studiato, hanno lavorato, sono maturati e si sono interrogati sulle loro priorità. Non sono persone che sprecano, né tempo, né soldi, questa è tutto meno che una fuga. Al contrario, è una ricerca di responsabilità e di risposte.

Si sono messi da parte il loro gruzzolo, per esempio lavorando e vendendo la macchina, e si sono accorti di essere stufi di vederlo dimagrire a vista d’occhio solo per il fatto di vivere a Milano.

Detto fatto. Sono partiti. E adesso sono a Bangkok dove si stanno creando una rete di contatti, e vagliano attentamente, molto attentamente, tutto quello che appare possibile fare.

Questa storia mi piace. Sa dello spirito pionieristico degli emigranti dopo le guerre, sa di coraggio, sa di iniziativa, sa di carattere. Sa di uomini, non di quaquaraquà.

L’Italia oggi è in guerra, una brutta guerra di scandali, di iniquità, di corruzione, di infinite nefandezze generate da secolari imbrogli che hanno lasciato, dopo troppo tempo, uno sfregio che resterà a lungo indelebile sulla sua bellezza e sull’indole dei suoi figli. Che partono, a malincuore. Che continuano ad amarla, ma da lontano.

Questi tre ragazzi hanno in comune la fierezza di essere italiani, nonostante tutto. E la speranza di tornare indietro dopo aver costruito qualcosa, orgogliosi di tornare a casa loro magari per continuarlo.

Io li seguo sul loro sito www.italian3p.com, mi piace. Mi sa che sentiremo parlare di loro

Mucha mierda…

Lorenza Caravelli

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